giovedì 19 aprile 2012

Due mesi - si fa per dire...

E sono due mesi di blog... se così si può dire, visto che non scrivo da settimane! La verità è che, a parte i miei impegni che mi impediscono di star qui a scribacchiare quanto vorrei, non so proprio cosa dire sul Don Chisciotte. Non mi ispira commenti o riflessioni profonde... Probabilmente non era questo a cui mirava Cervantes, quando l'ha scritto. Però è lunghissimo, io avrò letto forse un ottavo del libro e andando avanti così i miei 14 picolettori ambosessi decideranno di piantarmi in asso una volta per tutte! Che situazione kafkiana! Che poi, questo Kafkian... chi era?
Sto leggendo anche un altro libro non classico, di cui però non parlerò qui perché non credo potrebbe interessare al popolo, per cui... Niente, per ora festeggio con due piccole candeline il mio blog e gli faccio tanti auguri di buon complimese. A presto con qualche altro articolo un po' più interessante!

venerdì 30 marzo 2012

"E qui casca l'asino"

Per festeggiare il mio ritorno nel regno virtuale, oggi vi parlo di un libro che ho appena finito di leggere. Fin da quando ho creato il blog, infatti, era mia intenzione parlarvi anche di romanzi e saggi contemporanei, e oggi inauguro questa nuova tradizione introducendovi al saggio "E qui casca l'asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico" di Paola Cantù.
Siamo quotidianamente circondati da dibattiti e confronti, sia sul piano pubblico che su quello individuale, e nell'esporre le proprie tesi a volte le persone commettono delle fallacie, ovvero errori di ragionamento. Dalla falsa analogia alla diversione spiritosa, dalla petitio principii alla reductio ad absurdum, le fallacie in cui è possibile incappare sono davvero tante. Portando esempi tratti da articoli di giornale, testi di propaganda politica, interviste, Paola Cantù ci mostra come riconoscerle e smascherarle, non già per insegnarci ad attaccare meglio il nostro avversario, bensì per renderci in grado di chiedere spiegazioni migliori e di offrire argomenti più validi a sostegno delle nostre tesi. Come sostiene l'autrice, "accusare qualcuno di aver commesso una fallacia in un dato contesto non significa infatti delegittimarlo, quanto piuttosto non accontentarsi della prima spiegazione e chiedere di più: se non è buona la prima ragione, si ha diritto a chiederne una seconda. Questa è la differenza tra attaccare il valore di una persona e attaccare il valore di un suo argomento: è la differenza tra dire a una persona che è stupida e dunque non merita di essere ascoltata e segnalare che cosa non va nel suo ragionamento".
Il testo è scorrevole e chiaro nell'esposizione, e credo possa costituire una lettura molto utile e interessante per chiunque.

Scheda del libro:

Titolo: "E qui casca l'asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico"
Autore: Paola Cantù
Edito da: Bollati Boringhieri
Prima edizione: aprile 2011
Pagine: 173
Costo: 15 euro

Miei cari diciotto nanolettori e tre quarti, non so dirvi quanto mi abbiano commossa le valanghe e valanghe di messaggi che mi avete inviato per accertarvi che fossi ancora in vita e in salute! C'è addirittura chi ha chiamato a "Chi l'ha visto?" e chi ha allertato la polizia. Ma state tranquilli, miei quarantacinque picolettori e  4,5 yottalettrici: io sto bene, i miei libri stanno bene e il mio blog si bea del profumo della primavera. Ho solo avuto molto da fare, anche perché mi sto preparando per l'esame di russo (TRKI B2) - che non è propriamente uguale a scivolare come formaggio nel burro (come direbbero i russi, appunto). Ma torniamo al nostro impareggiabile Don Chisciotte! Dall'ultima volta in cui ho scritto, il nostro Mancego ha vissuto tante avventure: ha salvato un ragazzo dalle percosse del proprio padrone, ha difeso la fama della bella Dulcinea del Toboso, si è procurato uno scudiero e ha lottato contro dei giganti e dei manigoldi!
In realtà... il padrone riprende a percuotere il ragazzo non appena il nostro cavaliere ha svoltato l'angolo; per difendere la fama della sua bella (che, tra l'altro, non aveva bisogno di difesa alcuna) si mette ad attaccar briga contro dei mercanti incontrati per la via, finendo pesto e malconcio per mano di uno dei vetturali presenti, stufo delle smargiassate dell'improbabile cavaliere. Lo scudiero di Don Chisciotte, il celebre Sancho Panza, è un suo vicino, che acconsente a servirlo in cambio della promessa di essere proclamato governatore di questa o quell'altra isola. Cervantes ci dice che Sancho Panza ha poco sale in zucca; tuttavia, quando il suo cavaliere gli dice di vedere dei giganti e che intende battersi con loro per il duplice scopo di rendere un servigio a Dio, liberando la terra da quei mostri, e di arricchirsi con le loro spoglie, Sancho Panza cerca di dissuaderlo, spiegandogli che quelli non sono giganti, ma mulini a vento. Niente da fare: Don Chisciotte parte lancia in resta alla volta del primo gigante. Colpisce una delle pale del mulino e capitombola a terra. Sancho Panza accorre in suo aiuto e gli ripete che quelli sono mulini a vento, e sapete cosa gli risponde il nostro eroe? Che il suo acerrimo nemico Frestone deve averli tramutati in mulini per togliergli la gloria! Proseguendo poi nel loro viaggio, la strana coppia si imbatte in due frati dell'ordine di San Benedetto in sella a due mule, seguiti da un cocchio e da altre persone a cavallo e a piedi. Don Chisciotte, nella sua follia, stabilisce che nel cocchio devono esserci delle principesse rapite e ovviamente ritiene suo dovere salvarle. Ignorando beatamente che i due frati non fanno parte del resto della comitiva e che non ci sono pulzelle in pericolo né nel cocchio né fuori del cocchio, il Mancego si scaglia contro i rapitori, provocando la fuga di uno dei frati, la rovinosa caduta di sella dell'altro e il conseguente spoglio del frate da parte di Sancho Panza, che viene per questo picchiato dai servitori dei frati; senza curarsi di tutto questo, il cavaliere prosegue imperterrito nella sua battaglia e si scontra con uno dei servitori della signora del cocchio, rimettendoci mezzo orecchio ma assicurandosi un'inaspettata vittoria.
Finora il libro mi è piaciuto perché è ironico, divertente e scorrevole. Il protagonista è sicuramente ridicolo e creato apposta perché ci si burli di lui, ma io un po' lo ammiro, nonostante la sua goffaggine e la sua pazzia. Lo ammiro perché sceglie di vivere il proprio sogno, fino in fondo, senza ripensamenti. Sì, è vero: non vede il mondo per quello che è, ma come lui lo immagina, e per farlo distorce del tutto la realtà fino ad farla combaciare con la propria fantasia. Naturalmente è fuori di testa. Però è anche coraggioso, puro di cuore, pronto a combattere per le cause in cui crede... Un po' di rispetto e di ammirazione li merita, non pensate anche voi?


martedì 20 marzo 2012

Buongiorno, miei 3 lettori e mezzo! Dopo una settimana di silenzio stampa, eccomi di nuovo qui. Purtroppo, anche oggi ho davvero pochissimo tempo a disposizione, ma ci tenevo a fare un salto per festeggiare il primo mese di vita di questo blog! ^__^ In realtà avrei dovuto festeggiare ieri, ma sono stata tutto il giorno alla Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi di Bologna e non ho avuto modo di scrivere. Quindi... un bell'applauso per questo blog! (Clap clap clap).

Tornando a parlare di libri, come vi avevo annunciato ho cominciato a leggere il "Don Chisciotte". Ho scoperto di essermi sbagliata: la "Principessa di Clèves" non è il primo romanzo mai scritto, visto che il "Don Chisciotte" è del 1605. Le mie fonti si sono sbagliate, dunque! Però sicuramente si può dire che la "Principessa" sia il primo romanzo psicologico mai scritto, mentre il "Don Quijote" è una parodia dei libri a tema cavalleresco. L'intento parodistico dell'autore, Miguel Cervantes Saavedra, è chiaro fin dal prologo del romanzo, e nei primi capitoli il protagonista viene descritto come un sognatore di mezza età che riesce a distorcere completamente la realtà per adattarla alla propria immaginazione: due prostitute gli appaiono come nobildonne; un oste e la sua locanda diventano un cavaliere e il suo castello; una ragazzetta pressoché insignificante viene elevata al rango di signora del suo cuore e ribattezzata da lui Dulcinea. In sella al suo fido Ronzinante, questo inconsapevolmente comico paladino parte per compiere mirabili avventure e soccorrere donzelle in difficoltà. Che cosa combinerà, in realtà?

lunedì 12 marzo 2012

Miei tre lettori! Ho una notizia sensazionale che sconvolgerà il vostro mondo: ieri sera ho finito di leggere "La principessa di Clèves"!! Non è la notizia più strabiliante che abbiate mai sentito?! Ok, tutto questo saltellare e dimenarmi come una ragazza pon-pon è dovuto al fatto che sono davvero contenta di aver finito questo libro. Leggere per me è un piacere, è una di quelle cose per cui sono grata di essere al mondo, e questo romanzo stava per farmi divorziare dalla carta stampata. Per carità, riconosco che fosse il primo romanzo mai scritto (quanto meno in Occidente); riconosco che non tutti i libri possono piacere a tutti; riconosco che è stato scritto e ambientato in un'epoca diversa dalla mia; e riconosco anche che, tutto sommato, ha i suoi pregi. Però... Sarà che il finale mi ha davvero lasciato l'amaro in bocca, perché tu non puoi imperversare per 145 pagine su quanto 'sti due si amino, continuando a creare occasioni di fraintedimento per far sì che si alternino fasi in cui sono convinti di amare ed essere riamati a momenti di disperazione pura e totale, insistendo su quanto sia violento questo amore (e non ripeterò mai abbastanza che questo amore è basato su nulla all'infuori della loro bellezza), per poi dare un finale del genere! Prima la principessa confessa al marito di essere innamorata di Nemours, poi il principe si sente combattuto tra la gioia di sapere che sua moglie gli è fedele nonostante tutto e la devastazione di rendersi conto di non essere mai riuscito a conquistare il cuore di quella moglie che lui "ama come un'amante" (parole sue; io 'sti nobili continuo a non capirli); poi ci sono due o tre di quelle situazioni fraintendibili; poi il principe esce pazzo di gelosia e il duca va a stalkerare la principessa (la quale difende la propria virtù in maniera encomiabile); infine il principe crede che lei si sia concessa al duca e muore di crepacuore. A questo punto mi sono detta: "Bene, finalmente la principessa e il duca potranno coronare il loro sogno!". E invece no!! Perché la principessa, per il resto della sua breve vita, continuerà a pensare che sarebbe sbagliato sposarsi col duca, sia perché, indirettamente, è a causa di lui che il principe di Clèves è morto, sia perché è convinta che il duca cesserebbe di amarla se la avesse tutta per sé e lei si ritroverebbe cornuta e mazziata. Con queste argomentazioni la principessa rifiuta il duca nell'unica occasione in cui si trovano a parlare da soli e si ritira a una vita austera e monacale (pur senza prendere i voti), soffrendo per un adulterio mai commesso, per un amore mai vissuto e per una vita mai goduta. Certo, non è mai venuta meno ai princìpi dell'onore, del rispetto, della fedeltà e la sua virtù è intatta e senza macchie come quella di un bambino... ma a che prezzo? Era davvero necessario continuare a essere fedele a un marito che ormai non era più di questo mondo? Preservare quella virtù a ogni costo, sempre e comunque, era più importante che provare un po' di gioia fintanto che si è in vita? Se gli scrittori scrivono i romanzi per raccontarci storie a loro dire degne di essere conosciute, perché Madame de La Fayette ha scelto di raccontarci questa storia? Forse voleva mostrare che è possibile condurre una vita integerrima (a costo di sacrificare tutto il resto)? Non c'è un lieto fine. Non c'è un messaggio di speranza. Se la principessa avesse deciso di rifiutare il duca e avesse continuato a vivere con serenità, felice, appagata e in pace col mondo, avrei potuto anche capirla. Ma così mi fa solo tanta, tanta pena... Probabilmente è la storia d'amore più triste che abbia mai sentito - non tiratemi fuori Romeo e Giulietta: loro almeno per un pochino sono stati ebbri d'amore e hanno potuto viverlo, quell'amore! - e spero tanto che il prossimo romanzo classico mi tiri su di morale. Come, volete sapere qual è? Ve lo dico subito: il Don Quijote! Ci rivediamo in Spagna, ¡amigos!

giovedì 8 marzo 2012

Hey there. Sono arrivata a metà libro. Ci sto mettendo un sacco a leggerlo, sebbene non sia tanto lungo. Da una parte non mi prende così tanto da farmi mollare tutto per leggerlo, dall'altra sto leggendo anche un altro libro ("Il paradosso dell'ornitorinco" di Ann Moyal), per cui devo dividermi tra i due testi. Però non ho intenzione di arrendermi: non voglio piantare in asso la "Principessa", anche se mi sta un pochino annoiando. Tanto per cominciare, è il primo libro che leggo per il blog, e non sarebbe un buon inizio. Poi, ricordiamoci che è il primo romanzo occidentale mai scritto! Si può ben dire che tutto è partito da qui... E alla fine è interessante notare in cosa si assomiglino i romanzi contemporanei con i classici, e scoprire che certi elementi c'erano fin dal primissimo libro. Per esempio, nelle ultime pagine che ho letto si è verificato un classico (per l'appunto) della commedia degli equivoci: la principessa trova una lettera che una donna ha inviato a Nemours, e leggendola scopre che lui è ancora interessato a molte donne e non solo a lei. Terribile!! Se non fosse che... la lettera non era affatto destinata a Nemours! Come sbroglierà questa matassa la nostra Madame de La Fayette? Ve lo racconterò presto - se non scrivo sul blog sbagliato!

lunedì 5 marzo 2012

Ed eccomi di nuovo qui. Sto ancora leggendo la "Principessa" e per quanto riguarda la trama non ho molto da dire perché non sono andata tanto avanti con la lettura. L'unica cosa importante accaduta è che il duca di Nemours è ormai consapevole dei sentimenti che la principessa di Clèves nutre per lui, nonostante l'impegno profuso per non lasciarli trasparire. A questo punto abbiamo due persone innamorate l'una dell'altro, consapevoli dei sentimenti reciproci, ma impossibilitati a vivere l'amore che provano, perché lei è sposata e il divorzio ancora non è stato inventato... Quando ci penso, mi dispiace veramente per loro! Mi ritengo una persona romantica e storie come questa non mi lasciano indifferente - anche se l'amore tra i due personaggi sembra basarsi quasi esclusivamente sul trovarsi molto attraenti a vicenda... Se potessero stare insieme, di cosa parlerebbero? Cosa farebbero insieme, oltre a partecipare a tutti gli eventi mondani imposti dalla società? Infatti, in un'epoca in cui non esistevano televisore, radio o computer, la gente bene si intratteneva con frequenti serate danzanti, battute di caccia, feste in maschera, visite agli "amici", ed era un comportamento talmente radicato nel loro modo di pensare che a mancare a qualcuno di questi appuntamenti subito partivano le chiacchiere. La principessa, per esempio, vorrebbe smettere di frequentare la corte per evitare di incontrare Nemours, ma Madame de La Fayette ci dice proprio che lei "non poteva farlo". Possiamo così osservare una società intenta a divertirsi quasi per dovere, in cui non ci si poteva riservare cinque minuti per sé senza destare sospetti. Mi viene l'ansia solo a pensarci!
Vorrei condividere con voi le mie impressioni anche su altri aspetti del libro. Tanto per cominciare, Madame de La Fayette non descrive affatto i luoghi in cui si sviluppa la storia, né i vestiti indossati dai protagonisti o le loro sensazioni in risposta all'ambiente che li circonda. Naturalmente, non aveva bisogno di farlo: scriveva rivolgendosi a un pubblico perfettamente in grado di immaginarsi tutto da solo per esperienza diretta (o almeno, suppongo). Per me, però, sarebbe utile avere dei dettagli in più - dettagli che probabilmente troverei se il libro fosse stato scritto da un mio contemporaneo, perché per l'autore sarebbe forse spontaneo offrire tutti quei riferimenti utili sia a lui sia a noi per immergerci nell'atmosfera della storia, ma dati per scontati da chi viveva all'epoca dei fatti narrati o giù di lì.
La mia attenzione è stata catturata anche dal fatto che Madame de La Fayette non approfondisce molto il carattere dei personaggi - prima fra tutti la protagonista, che sembra priva di difetti - ma illustra egregiamente i conflitti interiori scaturiti dal ritrovarsi in situazioni delicate. L'altra volta vi avevo raccontato di come Sancerre si disperasse, preso dal vortice dell'odio e dell'amore per la donna amata. Stavolta, invece, è la principessa a ritrovarsi preda delle proprie emozioni: ora che sua madre, sua guida e maestra, è morta, la principessa appare indifesa e ancora inesperta. Ha solo sedici anni, ma deve comportarsi come una donna adulta, e con tutto che all'epoca a quell'età si diventava già madri, secondo me si era comunque troppo giovani per aver fatto quelle esperienze necessarie a sapere come destreggiarsi nella vita. Così, ogni volta che la principessa incontra il duca di Nemours, dentro di lei si scatena una lotta silenziosa, perché vorrebbe fargli sapere cosa prova, ma sa di non poterlo fare, e vede come lui la guarda, sente come lui le parla, e vorrebbe rispondere, far capire di aver capito, ma si sente anche in collera con lui perché non dovrebbe permettersi di rivolgersi a lei in quel modo, e così ciò che le dà gioia le provoca anche rabbia e confusione. Questo caleidoscopio di sentimenti è descritto molto bene, ed è così naturale, così umano che chiunque ci si può ritrovare. Sono convinta che siano proprio queste sensazioni contrastanti e sovrastanti a costituire il punto di contatto tra noi e un mondo così diverso e distante.