venerdì 30 marzo 2012

"E qui casca l'asino"

Per festeggiare il mio ritorno nel regno virtuale, oggi vi parlo di un libro che ho appena finito di leggere. Fin da quando ho creato il blog, infatti, era mia intenzione parlarvi anche di romanzi e saggi contemporanei, e oggi inauguro questa nuova tradizione introducendovi al saggio "E qui casca l'asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico" di Paola Cantù.
Siamo quotidianamente circondati da dibattiti e confronti, sia sul piano pubblico che su quello individuale, e nell'esporre le proprie tesi a volte le persone commettono delle fallacie, ovvero errori di ragionamento. Dalla falsa analogia alla diversione spiritosa, dalla petitio principii alla reductio ad absurdum, le fallacie in cui è possibile incappare sono davvero tante. Portando esempi tratti da articoli di giornale, testi di propaganda politica, interviste, Paola Cantù ci mostra come riconoscerle e smascherarle, non già per insegnarci ad attaccare meglio il nostro avversario, bensì per renderci in grado di chiedere spiegazioni migliori e di offrire argomenti più validi a sostegno delle nostre tesi. Come sostiene l'autrice, "accusare qualcuno di aver commesso una fallacia in un dato contesto non significa infatti delegittimarlo, quanto piuttosto non accontentarsi della prima spiegazione e chiedere di più: se non è buona la prima ragione, si ha diritto a chiederne una seconda. Questa è la differenza tra attaccare il valore di una persona e attaccare il valore di un suo argomento: è la differenza tra dire a una persona che è stupida e dunque non merita di essere ascoltata e segnalare che cosa non va nel suo ragionamento".
Il testo è scorrevole e chiaro nell'esposizione, e credo possa costituire una lettura molto utile e interessante per chiunque.

Scheda del libro:

Titolo: "E qui casca l'asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico"
Autore: Paola Cantù
Edito da: Bollati Boringhieri
Prima edizione: aprile 2011
Pagine: 173
Costo: 15 euro

Miei cari diciotto nanolettori e tre quarti, non so dirvi quanto mi abbiano commossa le valanghe e valanghe di messaggi che mi avete inviato per accertarvi che fossi ancora in vita e in salute! C'è addirittura chi ha chiamato a "Chi l'ha visto?" e chi ha allertato la polizia. Ma state tranquilli, miei quarantacinque picolettori e  4,5 yottalettrici: io sto bene, i miei libri stanno bene e il mio blog si bea del profumo della primavera. Ho solo avuto molto da fare, anche perché mi sto preparando per l'esame di russo (TRKI B2) - che non è propriamente uguale a scivolare come formaggio nel burro (come direbbero i russi, appunto). Ma torniamo al nostro impareggiabile Don Chisciotte! Dall'ultima volta in cui ho scritto, il nostro Mancego ha vissuto tante avventure: ha salvato un ragazzo dalle percosse del proprio padrone, ha difeso la fama della bella Dulcinea del Toboso, si è procurato uno scudiero e ha lottato contro dei giganti e dei manigoldi!
In realtà... il padrone riprende a percuotere il ragazzo non appena il nostro cavaliere ha svoltato l'angolo; per difendere la fama della sua bella (che, tra l'altro, non aveva bisogno di difesa alcuna) si mette ad attaccar briga contro dei mercanti incontrati per la via, finendo pesto e malconcio per mano di uno dei vetturali presenti, stufo delle smargiassate dell'improbabile cavaliere. Lo scudiero di Don Chisciotte, il celebre Sancho Panza, è un suo vicino, che acconsente a servirlo in cambio della promessa di essere proclamato governatore di questa o quell'altra isola. Cervantes ci dice che Sancho Panza ha poco sale in zucca; tuttavia, quando il suo cavaliere gli dice di vedere dei giganti e che intende battersi con loro per il duplice scopo di rendere un servigio a Dio, liberando la terra da quei mostri, e di arricchirsi con le loro spoglie, Sancho Panza cerca di dissuaderlo, spiegandogli che quelli non sono giganti, ma mulini a vento. Niente da fare: Don Chisciotte parte lancia in resta alla volta del primo gigante. Colpisce una delle pale del mulino e capitombola a terra. Sancho Panza accorre in suo aiuto e gli ripete che quelli sono mulini a vento, e sapete cosa gli risponde il nostro eroe? Che il suo acerrimo nemico Frestone deve averli tramutati in mulini per togliergli la gloria! Proseguendo poi nel loro viaggio, la strana coppia si imbatte in due frati dell'ordine di San Benedetto in sella a due mule, seguiti da un cocchio e da altre persone a cavallo e a piedi. Don Chisciotte, nella sua follia, stabilisce che nel cocchio devono esserci delle principesse rapite e ovviamente ritiene suo dovere salvarle. Ignorando beatamente che i due frati non fanno parte del resto della comitiva e che non ci sono pulzelle in pericolo né nel cocchio né fuori del cocchio, il Mancego si scaglia contro i rapitori, provocando la fuga di uno dei frati, la rovinosa caduta di sella dell'altro e il conseguente spoglio del frate da parte di Sancho Panza, che viene per questo picchiato dai servitori dei frati; senza curarsi di tutto questo, il cavaliere prosegue imperterrito nella sua battaglia e si scontra con uno dei servitori della signora del cocchio, rimettendoci mezzo orecchio ma assicurandosi un'inaspettata vittoria.
Finora il libro mi è piaciuto perché è ironico, divertente e scorrevole. Il protagonista è sicuramente ridicolo e creato apposta perché ci si burli di lui, ma io un po' lo ammiro, nonostante la sua goffaggine e la sua pazzia. Lo ammiro perché sceglie di vivere il proprio sogno, fino in fondo, senza ripensamenti. Sì, è vero: non vede il mondo per quello che è, ma come lui lo immagina, e per farlo distorce del tutto la realtà fino ad farla combaciare con la propria fantasia. Naturalmente è fuori di testa. Però è anche coraggioso, puro di cuore, pronto a combattere per le cause in cui crede... Un po' di rispetto e di ammirazione li merita, non pensate anche voi?